L’accounting delle operazioni di reverse factoring, i limiti di questa soluzione per il finanziamento della supply chain.
Da alcuni anni, in parallelo con la diffusione degli accordi di reverse factoring come principale strumento di finanziamento della supply chain a livello mondiale, si dibatte in merito alle modalità di rappresentazione contabile degli effetti di questi accordi.
Si tratta di un dibattito molto tecnico, che può apparire a tratti paradossale se visto con gli occhi di un non addetto ai lavori.
L’obiettivo di questa nota è cercare di chiarire i termini di questo dibattito, la cui provvisoria conclusione è arrivata il 14 dicembre scorso, quando lo IFRS Committee ha deciso che non servono nuove regole in materia, in quanto gli strumenti forniti dai principi contabili internazionali sono del tutto adeguati ad affrontare questo tema specifico.
Cercheremo anche di spiegare limiti e rischi delle strutture di reverse factoring per i debitori che le usano e spiegheremo come si possono superare questi limiti attraverso soluzioni alternative, come quella proposta da Polaris.
Mentre un accordo di factoring interviene tra un creditore ed una entità finanziaria ed ha per oggetto la cessione dei crediti vantati dal creditore verso un terzo debitore, un accordo di reverse factoring interviene tra l’entità finanziaria e il debitore ed ha per oggetto:
Il perimetro effettivo dell’accordo potrebbe includere solo una parte delle componenti potenziali sopra indicate e, come vedremo più avanti, quelle effettivamente critiche per la rappresentazione dell’operazione nel bilancio del debitore sono essenzialmente la b) e la d).
Fuori da un contesto di reverse factoring, il trasferimento del credito da un soggetto ad un altro non ha impatti sulla rappresentazione contabile del debito da parte del debitore. Quest’ultimo è, infatti, estraneo all’operazione e continua a registrare il suo debito in base alla sua natura originaria: debito commerciale, se deriva da una transazione commerciale; debito finanziario, se deriva da una transazione finanziaria.
In un contesto di reverse factoring però il debitore è indirettamente coinvolto nella transazione tra il creditore originario e l’entità finanziaria, in particolare nella misura in cui vada a beneficiare di una estensione dei termini di pagamento e/o assuma degli impegni specifici verso il nuovo creditore. Questa potenziale alterazione della situazione ex ante apre un tema di potenziale riclassificazione del debito commerciale originario in debito finanziario.
Potrebbe sembrare una questione di lana caprina: che il debito sia di natura commerciale o finanziaria sempre debito è.
In effetti, il tema è sottilmente tecnico e ha delle conseguenze significative sulla rappresentazione e l’interpretazione dei dati di bilancio. I modelli di analisi dei bilanci utilizzano metriche diverse a seconda del tipo di attività dell’azienda indagata. Lo spartiacque principale (non l’unico) è quello tra attività finanziaria e attività non finanziaria (commerciale, industriale, ...).
È importante? Sì. Proverò a spiegarlo con due aneddoti.
Alla fine degli anni ’80 lavoravo da poco in una società finanziaria e i miei colleghi mi raccontavano di essersi accorti casualmente che le informazioni commerciali fornite da uno dei principali operatori del settore sull’azienda la definivano come non affidabile. Avevano protestato ed era emerso che il bilancio era stato riclassificato utilizzando uno schema per società industriali invece che finanziarie, generando così un giudizio incongruo. La differenza fondamentale è che l’attività finanziaria va strutturalmente a leva sull’indebitamento (che è sistematicamente un multiplo del patrimonio), mentre per le attività industriali e commerciali il debito (finanziario) è strutturalmente più contenuto. Il giudizio era stato espresso sulla base di uno schema di analisi non pertinente e risultava quindi fuorviante per il lettore e dannoso per l’azienda.
Il secondo aneddoto illustra la situazione contraria.
Nelle ultime fasi della storia di Parmalat prima del suo default, l’azienda si presentava agli analisti con volumi di attività e passività incompatibili con i volumi di ricavi industriali (era il risultato della creazione di debito finalizzata alla distrazione di fondi ed all’occultamento di perdite contabili). Gli analisti avevano risolto il problema definendo Parmalat una holding finanziaria con alcuni interessi industriali ed applicando i modelli di analisi delle società finanziarie. Una spiegazione puramente formale che ha favorito l’incremento del debito, che è poi costata centinaia di milioni agli investitori.
La logica dei modelli di analisi è quella di collocare i dati del singolo individuo all’interno di cluster omogenei, allo scopo di evidenziare (e poi spiegare) gli scostamenti rispetto alla media. Parimenti, l’utilizzo di principi contabili omogenei è lo strumento che serve a garantire la comparabilità delle informazioni a fini di analisi da parte degli investitori. All’interno di questo framework, la riclassificazione di poste operative in poste finanziarie e viceversa ha impatti sulla comprensione ed interpretazione dei dati.
La questione è sostanziale e dipende dal contenuto effettivo dell’accordo.
Un accordo che preveda solo i punti a) e c) sopra elencati non modifica la posizione sostanziale del debitore né gli dà alcun beneficio accessorio rispetto alla situazione ex ante.
Se invece l’accordo include anche la possibilità di estendere i termini di pagamento, questo si traduce per il debitore in un ciclo passivo più lungo (se il debito non viene riclassificato come finanziario), dando l’immagine di una situazione di liquidità più florida. Il rischio è però che questo risultato sia stato ottenuto mediante l’utilizzo delle stesse linee di credito finanziarie che sarebbero state utilizzate per pagare a scadenza il creditore originario e che non sono quindi più disponibili per il debitore, così che la rappresentazione come debito commerciale nasconde un effetto puramente cosmetico e può indurre in inganno l’osservatore terzo.
Anche la presenza nell’accordo di reverse factoring di contenuti come quello indicato al punto d), può avere l’effetto sostanziale di mutare la natura del debito.
Il debito commerciale è infatti un debito condizionato alla corretta esecuzione della prestazione da parte del fornitore, laddove il debito finanziario è – di norma – un debito non contestabile. Questo effetto potenziale dell’accordo di reverse factoring è, peraltro, meno rilevante rispetto al precedente poiché in condizioni normali le prestazioni vengono effettivamente eseguite e i relativi debiti sono quindi perfettamente esigibili in modo del tutto analogo al debito finanziario. L’impegno a non sollevare eccezioni è quindi meno incidente sulla posizione del debitore e può essere considerato addirittura irrilevante se il debitore è in grado di verificare l’esecuzione della prestazione prima della cessione all’entità finanziaria (anche in questo caso, una situazione normale).
Se guardiamo al di là degli effetti meramente cosmetici, ci sono due classi di motivi sostanziali per i quali un debitore può essere interessato ad imbastire un accordo di reverse factoring:
Le due finalità non sono alternative tra loro e, guardando all’equilibrio complessivo del processo produttivo di cui il debitore è il culmine, ambedue possono essere necessarie a garantire la sostenibilità finanziaria complessiva della filiera e del processo.
Conseguentemente, i benefici sostanziali per il debitore possono essere ricondotti al miglioramento del proprio ciclo operativo ed all’irrobustimento dei propri processi logistici e produttivi per effetto del sostegno assicurato ai fornitori.
Questi benefici non sono disgiunti da rischi, anche significativi. Vediamo qui i tre principali.
Come abbiamo visto, il rischio più importante legato agli accordi di reverse factoring è la potenziale dipendenza derivante dalla concentrazione del debito sull’entità finanziaria partner.
Ridurre questa componente di rischio significa frazionare il debito su più partner finanziari, perseguendo un equilibrio mobile tra l’efficienza determinata da un’unica partnership strutturale e la minor dipendenza derivante dalla presenza di un maggior numero di partner.
Nella realtà operativa, però, la gestione di accordi multipli di reverse factoring può rivelarsi piuttosto faticosa. Oltre all’equilibrio tra dipendenza ed efficienza il debitore deve gestire anche le pressioni competitive tra i partner finanziari, le esigenze dei fornitori e l’ottimizzazione nell’utilizzo della capacità di credito disponibile, normalmente distribuita in maniera vischiosa sui singoli fornitori.
L’altro tema, quello della commistione tra linee di credito per cassa e linee di reverse factoring presso la stessa entità finanziaria, tale che il miglioramento della posizione finanziaria netta del debitore possa rivelarsi un effetto unicamente cosmetico, suggerisce l’opportunità di diversificare – per quanto possibile – i partner finanziari utilizzati per i programmi di reverse factoring da quelli utilizzati per l’operatività corrente.
In ogni caso, la moltiplicazione degli accordi di reverse factoring non esclude la necessità di valutarne singolarmente l’impatto ai fini della rappresentazione dei loro effetti nel reporting finanziario del debitore, come richiesto dall’applicazione dei principi contabili internazionali, secondo l’IFRS Committee.
Polaris è una piattaforma digitale per la gestione dei programmi di supply chain finance dei debitori. Una soluzione neutra rispetto alle relazioni tra gli aderenti alla piattaforma stessa (Buyer, fornitori e partner finanziari) e nativamente multifunder.
Polaris fornisce una cornice contrattuale unitaria alle transazioni di vendita dei crediti commerciali vantati dai fornitori verso il debitore, senza alcuna necessità di formalizzare accordi di reverse factoring tra il debitore e i partner finanziari.
Le singole transazioni di vendita dei crediti sono realizzate in forma atomica all’interno dell’architettura contrattuale della piattaforma e domanda e offerta sono in via di principio libere di incontrarsi senza dover instaurare rapporti di cessione continuativi. Inoltre, l’eventuale allungamento dei termini di pagamento è il risultato di una negoziazione preventiva tra debitore e fornitore e viene quindi solo “ereditato” dal partner finanziario.
All’interno dello schema di funzionamento di Polaris i problemi posti dagli accordi di reverse factoring perdono sostanza, in quanto:
È inoltre appena il caso di sottolineare che la logica di relazione n:n tra fornitori e partner finanziari e di gestione atomica delle transazioni fa sì che la distribuzione della capacità creditizia messa a disposizione dai partner finanziari sia del tutto elastica, con un rimarchevole effetto di ottimizzazione rispetto alla distribuzione rigida, tipica degli accordi di reverse factoring.
FS
*Per chi volesse approfondire ulteriormente il tema ecco il link attraverso cui è possibile consultare la documentazione rilasciata dallo IFRS Committee in data 14/12/2020 in materia di Supply Chain Financing Arrangements - Reverse Factoring