L’intento dell’Unione Europea nel promuovere una normativa uniforme sui ritardi di pagamento nelle transazioni B2B e B2G è quello di favorire la puntualità dei pagamenti, eliminando così un fattore di tensione nella gestione finanziaria, soprattutto delle imprese più piccole. Lo strumento giuridico adottato per perseguire queste finalità è la sanzione dei ritardi di pagamento, attraverso la previsione di un diritto delle imprese fornitrici a vedersi riconosciuti interessi di ritardato pagamento determinati in misura punitiva, oltre a indennizzi di tipo amministrativo.
Il presupposto logico dell’iniziativa è che il ritardo di pagamento sia un comportamento prevalentemente dovuto all’asimmetria relazionale e dimensionale tra cliente “forte” e fornitore “debole” e sia sufficiente quindi predisporre uno strumento che legittimi la pretesa del soggetto debole all’indennizzo.
Nella realtà economica il problema è molto più complesso, include anche la determinazione iniziale dei termini di pagamento delle prestazioni e forniture e non può prescindere dalla consapevolezza che una parte assai importante delle relazioni di fornitura altro non è che un singolo tratto all’interno di una catena più lunga.
Concentrarsi sul singolo tratto, ignorando i comportamenti a monte e valle, riduce in modo significativo l’effettività di qualsiasi previsione normativa. Supporre che la “normalizzazione” di ogni singolo tratto si traduca automaticamente nella normalizzazione di tutta la catena è semplicemente ingenuo.
Nella figura seguente è riportato un esempio fortemente semplificato di catena manifatturiera, che evidenzia come il finanziamento del ciclo di produzione complessivo sia sempre distribuito sui diversi anelli della catena, con pesi diversi derivanti dalla diversità dei volumi, ma anche e soprattutto dal diverso livello di coinvolgimento dei fornitori. I fornitori di commodities e materie prime non hanno un interesse particolare a sostenere il cliente che è, di norma, facilmente sostituibile. Un fornitore marginale e facilmente sostituibile non ha interesse a sostenere il cliente, ma può facilmente essere vittima del ritardo di pagamento. Un fornitore inserito in una catena di fornitura è consapevole che l’obiettivo condiviso con il cliente è la vendita del prodotto finito ed ha interesse a contribuire al raggiungimento di questo risultato partecipando, nella misura del possibile, al finanziamento del ciclo complessivo.
Il vero problema è quello del finanziamento del capitale circolante delle aziende. Problema che può essere accentuato dalla lunghezza dei termini di pagamento e dai ritardi di pagamento, ma che non deve essere confuso con questi fattori. Termini di pagamento e ritardi di pagamento sono alcuni degli strumenti di cui si avvalgono le imprese per gestire il finanziamento del capitale circolante: puntare l’occhio solo su alcuni di questi strumenti, non aiuta a capire il problema, né a risolverlo.
Limiti degli strumenti di mercato per il finanziamento del capitale circolante
Il finanziamento del capitale circolante è uno dei fattori fondamentali per garantire una gestione sana e prudente dell’impresa. Le imprese muoiono quando non trovano più una collocazione sul mercato, ma muoiono anche (molto più spesso) quando non riescono a gestire il loro ciclo finanziario operativo, quando la forbice temporale tra pagamenti e incassi si apre troppo e l’azienda non trova le risorse finanziarie per coprire questa gap. La tensione finanziaria a breve è forse il principale fattore di crisi, anche irreversibile, delle imprese italiane, cosa che si riflette in tutti i modelli di scoring del rischio di credito, che tendono a sovrappesare gli indicatori che misurano questo fenomeno. Si tratta di un tema di gestione della liquidità a breve termine di cui dispone (o non dispone) l’impresa, certo, ma anche e soprattutto di gestione dei fattori che questa liquidità generano (pagamenti dei clienti) o assorbono (pagamenti ai fornitori e giacenze di magazzino), senza dimenticare che tempi di pagamento lunghi implicano un rischio di credito più elevato nei confronti del cliente e necessità di credito corrispondentemente più elevate in capo al fornitore.
Il mercato finanziario offre un vasto assortimento di strumenti idonei a supportare le aziende nella gestione del capitale circolante (come anticipi bancari, factoring, reverse factoring, confirming, lettere di credito) ma tale abbondanza non significa che gli strumenti siano ugualmente disponibili per tutte le imprese. Tendenzialmente, ciascuno di questi strumenti presuppone una soglia dimensionale minima – spesso piuttosto elevata – nella relazione con l’operatore finanziario che lo eroga, oltre che uno standing creditizio adeguato dell’azienda beneficiaria del relativo credito. Questo significa che, nella maggior parte dei casi, l’effettiva disponibilità di tali strumenti risulta fortemente limitata o addirittura assente.
Superare i limiti degli strumenti esistenti significa provare a immaginare una soluzione analoga a quella del mercato dei capitali di rischio, un mercato del debito commerciale delle imprese che abbia caratteristiche tali da garantire:
- un basso livello di rischio per gli investitori, eliminando quanto meno tutti i fattori di incertezza impliciti nell’esigibilità del credito commerciale (contestazioni, compensazioni, vizi della prestazione, …). Tale condizione potrebbe essere conseguita se fosse l’azienda debitrice ad immettere il proprio debito sul mercato, dichiarandone l’esigibilità;
- un elevato livello di inclusività. A priori, qualsiasi azienda fornitrice dovrebbe poter accedere al mercato per vendere i propri crediti dichiarati esigibili dal debitore, indipendentemente dal proprio rating finanziario e dalle proprie dimensioni;
- una forte semplificazione nei processi di adesione al mercato e controllo ai fini antiriciclaggio, evitando di moltiplicarli per tutti gli investitori e riferendoli, magari, alle sole aziende debitrici, effettive controparti di rischio e alimentatori del mercato.
In uno scenario come quello ipotizzato, la criticità rappresentata da lunghi termini di pagamento si ridurrebbe in modo significativo, soprattutto per le catene di fornitura il cui punto terminale è costituito da un’azienda dotata di adeguato standing creditizio, per ciò stesso in grado di garantire un mercato sufficientemente liquido al proprio debito commerciale. Una effettiva possibilità di negoziazione del credito commerciale a condizioni di mercato e senza pregiudizi relativi alla solidità finanziaria del fornitore può neutralizzare la variabile rappresentata da termini di pagamento più o meno lunghi per l’equilibrio finanziario dell’impresa e consentirle di condividere con il cliente il finanziamento del ciclo di produzione complessivo, senza assumere rischi ed oneri eccessivi.
La proposta
Se l’obiettivo perseguito nella revisione della Direttiva sui ritardi pagamento è quello di mitigare le criticità finanziarie cui sono esposte le PMI nelle loro relazioni commerciali con le imprese più grandi, dovrebbero essere chiari sia i limiti di soluzioni meramente sanzionatorie del ritardo di pagamento, sia quelli dell’imposizione di termini di pagamento standardizzati che non tengano conto della natura delle singole attività e cicli di produzione.
Dati questi limiti, una ulteriore soluzione possibile è quella di incentivare la creazione di mercati attivi del debito commerciale delle imprese più grandi, condizionando l’applicazione di termini di pagamento superiori ad un certo livello (per esempio, 60 giorni) all’impegno a garantire la negoziabilità delle relative fatture su un mercato aperto e sufficientemente liquido.
Invece di intervenire in modo generalizzato limitando pesantemente l’autonomia negoziale delle parti, a prescindere da qualsiasi valutazione del loro interesse effettivo, un intervento più circoscritto potrebbe sortire risultati migliori. Questo non significa rinunciare a perseguire comportamenti vessatori, che sfruttano l’asimmetria dimensionale tra parti negoziali.
Da questo punto di vista, l’impianto attuale della Direttiva potrebbe essere confermato e anche implementato attraverso l’utilizzo di metriche basate su indicatori di bilancio, quantomeno per sanzionare comportamenti estremi, che si concretizzano in cicli finanziari negativi, in cui l’azienda complessivamente incassa prima di quanto paghi i fornitori. Questo tipo di situazione, facilmente desumibile dal bilancio d’esercizio, significa che l’impresa complessivamente drena liquidità ai suoi fornitori, operando come se fosse un intermediario finanziario abilitato alla raccolta del denaro verso il pubblico, ma senza fornire alcun tipo di garanzia, né essere soggetto ad alcun tipo di controllo. Un comportamento, quindi, potenzialmente sanzionabile in sé, a prescindere da qualsiasi denuncia di parte.
Da un punto di vista operativo la proposta di revisione della Direttiva potrebbe quindi essere articolata come segue:
- Definizione di un termine massimo “normale” di pagamento delle transazioni commerciali;
- Facoltà di convenire termini diversi, anche più lunghi, e possibilità di convenire interessi di ritardato pagamento in misura diversa da quella legale a condizione che le aziende committenti garantiscono ai propri fornitori la possibilità di negoziare pro soluto il proprio credito in mercati aperti ed inclusivi;
- Incentivi finalizzati alla creazione di piattaforme di mercato di questo tipo e all’adesione delle imprese e di banche e operatori finanziari alle medesime. Gli incentivi alle imprese potrebbero riferirsi a trattamenti fiscali favorevoli per i costi sostenuti ai fini della realizzazione e dell’adesione, quelli verso gli intermediari finanziari potrebbero prendere la forma di un minore requisito patrimoniale per i relativi impieghi, oltre alle eventuali semplificazioni operative sotto il profilo dei requisiti di compliance;
- Imposizione di sanzioni automatiche per i comportamenti gravemente vessatori, desumibili a posteriori dagli indici di bilancio delle imprese, eventualmente applicabili solo ad imprese al di sopra di soglie dimensionali determinate.
L’obiettivo complessivo della proposta è quello di favorire la creazione di più mercati attivi del debito commerciale delle imprese, con l’effetto di migliorare il finanziamento del loro capitale circolante e l’impiego di capitali in operazioni a basso rischio ed elevata rotazione. Questa iniziativa, combinata con l’impianto sanzionatorio preesistente e le sue eventuali ulteriori implementazioni, potrebbe assicurare risultati più efficaci rispetto all’obiettivo fondamentale di irrobustire l’equilibrio finanziario delle imprese, evitando gli effetti negativi di un impianto basato esclusivamente su sanzioni attivabili solo su iniziativa di parte.
La proposta qui delineata non è altro che una generalizzazione dell’iniziativa imprenditoriale della scrivente società.