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Ancora in tema di termini di pagamento e ritardi nelle transazioni B2B

novembre 7, 2025

 

L'EU Payment Observatory ha pubblicato un primo report sulle evidenze emerse dall'analisi delle informazioni fornite dalle aziende europee obbligate, ai sensi della #CSRD, alla pubblicazione di una serie di informazioni sui loro comportamenti di pagamento. Si tratta di 136 imprese per le quali gli obblighi di pubblicazione del reporting di sostenibilità trovavano applicazione già dal bilancio 2024. Il campione è assai ridotto e le considerazioni più rilevanti contenute nel report si riferiscono alla sostanziale incomparabilità delle informazioni fornite, data la mancanza di standardizzazione delle stesse. La cosa che mi ha lasciato più perplesso, però, è l'approccio ideologico al tema dei termini di pagamento e dei ritardi di pagamento, secondo la vulgata per cui l'unica chiave di lettura ammissibile è che i comportamenti di pagamento delle imprese riflettono una logica di puro potere contrattuale, in cui le PMI sono le vittime designate del maramaldeggiare delle imprese più grandi, e tutti gli sforzi devono essere dedicati a ridurre e mettere sotto controllo il fenomeno, anche attraverso la disclosure.

Ora, termini e condizioni di pagamento sono strumenti di mercato, condizionati ovviamente dai rapporti di forza contrattuale, ma anche da circostanze specifiche legate al contesto. Il rapporto fornitore/cliente conosce infinite declinazioni a seconda, per esempio, del livello di inserimento in filiere di fornitura, il cui obiettivo comune è la produzione di un bene o servizio destinato al cliente finale. In questi casi, la lunghezza del ciclo di produzione complessivo determina il fabbisogno di finanziamento, sempre complessivo, e termini e condizioni di pagamento non sono altro che gli strumenti per ripartire il relativo onere sui diversi componenti della filiera. In questa logica, il ritardo di pagamento è un ulteriore strumento di flessibilità e di adattamento all'interno della filiera. Uno strumento deprecabile, certo, ma a condizione di garantire la disponibilità di strumenti alternativi.

Sono ormai 25 anni che l'Unione Europea ha lanciato una crociata contro i ritardi di pagamento, inasprendo progressivamente le sanzioni originariamente previste dalla Direttiva sui ritardi, ma apparentemente senza risultati significativi. Magari potremmo anche iniziare a chiederci se la realtà non sia un po' più articolata rispetto alla vulgata delle PMI vittime a prescindere e se non sia forse più intelligente ridurre l'investimento in normativa sanzionatoria, preoccupandosi invece di creare migliori condizioni di supporto finanziario al circolante delle imprese.

Questo non significa che misurare termini e ritardi di pagamento sia un'attività inutile. Misurare aiuta a conoscere e capire. Ma misurare è un'attività autonoma e deve essere slegata da altre finalità operative (che sia testimoniare la sostenibilità o fornire degli strumenti di selezione dei clienti o di supporto al contenzioso) e assertive. Questo è possibile solo se si definiscono in maniera uniforme le metriche e le variabili di classificazione, in modo da assicurare consistenza e comparabilità alle informazioni raccolte. Altrimenti, abbiamo un osservatorio che raccoglie impressioni e non dati o fatti. Certo, le impressioni sono molto più social dei dati...