L’impatto delle regole contabili sul business.
Il factoring appartiene ad una famiglia di prodotti finanziari che condividono la presenza di una pluralità di controparti all’interno della singola transazione e presentano, quindi, specifici problemi di rappresentazione sotto i profili della registrazione contabile e del rischio. È una famiglia che include la maggior parte delle forme di finanziamento del circolante, come il confirming, il reverse factoring, l’uso delle carte di credito in ambito business e così via.
Questi prodotti si prestano ad essere oggetto di modalità di rappresentazione differenti – alternativamente, di taglio più commerciale o più finanziario – nessuna delle quali è, a priori, interamente corretta. Di qui la sfida continua che essi pongono nell’applicazione dei principi contabili ed il dibattito ricorrente che essi suscitano nell’ambito delle professioni contabili.
Un esempio ormai datato è quello del trattamento delle cessioni di crediti nel quadro dei principi contabili internazionali, che ha segnato il passaggio da un modello basato sull’effetto legale del negozio giuridico utilizzato (trasferimento della proprietà dell’asset e quindi cancellazione del medesimo dal bilancio dell’entità cedente) ad un modello basato sul criterio dell’effettivo trasferimento di tutti i rischi e benefici connessi con l’asset, in cui la cancellazione dal bilancio richiede una valutazione potenzialmente complessa ed il cui risultato operativo è la scissione delle operazioni di cessione dei crediti in tre famiglie differenti:
- cessioni pro solvendo, per le quali non viene mai operata la cancellazione del credito dal bilancio del cedente;
- cessioni pro soluto “effettive”, basate su contratti che prevedono il trasferimento di tutti i rischi e benefici e che consentono la cancellazione dell’asset dal bilancio del cedente (e la sua recognition in quello del cessionario);
- cessioni pro soluto “formali”, in cui il trasferimento del rischio può non essere completo e che vengono trattate contabilmente come se fossero pro solvendo, benché non lo siano.
La lunga diatriba sul trattamento delle cessioni di crediti nei bilanci delle aziende cedenti si è, in qualche modo, replicata negli ultimi anni con riferimento alla rappresentazione delle operazioni di reverse factoring o, più in generale, di supplier financing nei bilanci delle aziende debitrici. In questo caso, il tema di fondo dell’eventuale riclassificazione del debito di fornitura in debito finanziario, per effetto della collocazione dell’operazione di cessione tra fornitore e cessionario all’interno di un accordo tra azienda debitrice e cessionario, ha partorito una non soluzione, con l’introduzione di un obbligo di disclosure in bilancio per le aziende che attuano accordi di supplier financing.
Questo esito rappresenta la rinuncia ad esprimere una regola ed apre la strada alla libera interpretazione degli analisti e degli stakeholders, cui verrà garantita la disponibilità delle informazioni necessarie per riclassificare o meno i debiti oggetto di questo tipo di accordi.
Quali saranno gli effetti di questa “non soluzione”?
Un primo fenomeno, di cui già si segnalano le prime avvisaglie, è la rinuncia da parte delle aziende ad utilizzare questo tipo di strumenti, ritenendo non accettabile il rischio di doversi misurare con una proliferazione di interpretazioni contrastanti dei dati di bilancio.
Un secondo fenomeno, coerente con l’evoluzione storica dei criteri sulle operazioni attive, potrebbe essere lo sviluppo, nella pratica, di un set di criteri operativi che conducano a distinguere tra strutture di supplier financing destinate alla riclassificazione del debito e strutture neutrali sotto questo profilo.
Quello che appare sin d’ora abbastanza sicuro è che le soluzioni tradizionali di reverse factoring, basate su una cornice di accordo diretto tra azienda debitrice e banca o intermediario finanziario sono destinate a risultare sempre meno appetibili per le imprese, oltre che potenzialmente rischiose sotto il profilo dell’impatto sulla posizione finanziaria netta.
È la morte del reverse factoring? Forse come etichetta di prodotto, non certamente come modalità efficiente di risposta alla domanda di liquidità delle filiere produttive. Ancora una volta, si tratta di immaginare soluzioni che permettano di offrire liquidità ai fornitori senza che l’azienda debitrice debba impegnarsi a fare nulla di più di quello che deriva dalla sua obbligazione commerciale: pagare il dovuto alla scadenza concordata.
Polaris ha già fatto da tempo questo sforzo e propone una soluzione neutrale sotto il profilo contabile, oltre che più efficiente e scalabile rispetto a tutte le soluzioni tradizionali.