Le vicende geopolitiche degli ultimi anni hanno riportato all’attenzione pubblica i temi della gestione delle catene
di fornitura e delle loro vulnerabilità e, indirettamente, anche i temi legati ai meccanismi di finanziamento dei
traffici commerciali che transitano attraverso le supply chain. Ciò che caratterizza le transazioni commerciali che
intervengono all’interno di una supply chain è la relativa stabilità e “necessità” delle relazioni commerciali
strutturate che si instaurano all’interno dell’ecosistema della supply chain e, più specificamente, quella sorta di
interesse collettivo dei partecipanti al buon esito commerciale ed economico del prodotto finale, sia esso un bene,
un impianto o un servizio.
Questa relativa coesione fa sì che anche i temi legati al finanziamento dei cicli di approvvigionamento, produzione
e distribuzione suggeriscano una lettura e un approccio che superano la dimensione della singola azienda
partecipante per collocarsi a livello dell’ecosistema complessivo. Ne consegue che gli strumenti tipici della Supply
Chain Finance sono spesso strumenti multilaterali, che richiedono la partecipazione e il coordinamento di diversi
soggetti: fornitori, clienti, finanziatori.
Dal punto di vista applicativo dei principi contabili internazionali, la realtà multirelazionale della Supply Chain
Finance è intrinsecamente fonte di problemi. Scopo dei principi contabili è disciplinare la rappresentazione dei
fatti economici all’interno del bilancio dell’impresa, in modo da assicurarne la comparabilità e la trasparenza. Ma
il bilancio dell’impresa riflette prevalentemente relazioni bilaterali tra l’impresa e le singole entità del mondo che
la circonda, riducendole a rapporti credito/debito, impegni e rischi, mentre le relazioni multilaterali richiedono un
faticoso lavoro di scomposizione e interpretazione.
Così, anche quando le cose sembrano contabilmente trasparenti – un fornitore, un cliente, una transazione
commerciale e la negoziazione del relativo credito con una banca – se la negoziazione avviene in un contesto di
relazione che coinvolge direttamente anche il cliente, allora occorre porsi il problema se il suo debito sia ancora
un debito commerciale o si sia trasmutato in un debito finanziario.
Lo scopo di questo articolo è quello di spiegare la logica, e i limiti, di questa possibile transustanziazione nel quadro
dei principi contabili internazionali (IFRS), proponendo una lettura che va al di là degli aspetti meramente tecnici
della questione. Il tema è rilevante per gli impatti potenziali che può avere dal punto di vista dei diversi soggetti
implicati nelle operazioni di Supply Chain Finance e, in particolare, per l’industria del factoring.
1. Debiti commerciali e finanziari
Per i principi contabili internazionali la distinzione tra debito commerciale e debito finanziario è una distinzione per
natura originaria. Sono commerciali i debiti che sorgono per effetto del ciclo operativo dell’impresa e derivano
quindi dall’acquisizione di merci o prestazioni utilizzate nell’economia produttiva dell’azienda. Sono finanziari i
debiti che hanno per oggetto la restituzione di una somma di denaro ricevuta in prestito. Il principio IFRS9 non
prevede alcuna possibilità di trasformazione dall’una all’altra specie: parlare di “riclassificazione del debito” è
quinid, in realtà, inappropriato. Un debito commerciale non può trasformarsi in debito finanziario nel quadro dei
principi contabili vigenti né viceversa. Il ragionamento che viene fatto per sostenere che l’obbligazione si è
trasformata da commerciale a finanziaria è il seguente:
- c’è un debito commerciale derivante dall’attività operativa dell’azienda
- il debito commerciale viene ceduto dal fornitore nel contesto di un accordo tra debitore e acquirente del
credito - l’effetto di questo accordo può comportare l’estinzione contabile del debito commerciale e la creazione
di una nuova passività finanziaria, diversa dalla precedente passività commerciale in qualche elemento
sostanziale (scadenza, tasso di rendimento, garanzie a supporto, …), elemento che non può essere
semplicemente la controparte dell’obbligazione.
Poiché non è possibile riclassificare il debito, occorre che l’obbligazione originaria possa considerarsi estinta
affinché se ne possa registrare una nuova e la nuova obbligazione deve presentare delle differenze sostanziali,
che derivano dalla cornice contrattuale di cui sono parti il debitore che la riconosce nel proprio bilancio e il (nuovo)
creditore.
Ciò che dà sostanza a questa sorta di gioco delle tre tavolette è l’effettiva esistenza di queste differenze.
2. Le soluzioni di Supply Chain Finance dal punto di vista dell’IFRS9
Quando parliamo di Supply Chain Finance intendiamo approssimativamente una famiglia di tecniche e strumenti
relativi alla gestione e al finanziamento di flussi commerciali, nella loro applicazione al contesto relazionale della
Supply Chain. In particolare, gli strumenti più frequentemente utilizzati sono:
- il Reverse Factoring, vale a dire un accordo tra azienda debitrice e intermediario bancario o finanziario,
finalizzato a consentire a quest’ultimo di stipulare contratti di factoring con i fornitori dell’azienda; - il Confirming, cioè un accordo tra azienda debitrice e intermediario, basato su un mandato di pagamento dei
debiti commerciali dell’azienda, sulla base del quale l’intermediario offre ai fornitori la possibilità di cedere i
loro crediti verso l’azienda; - la lettera di credito, vale a dire un contratto finanziario tra l’azienda debitrice e la banca, nell’ambito del quale
la banca garantisce al fornitore l’obbligazione di pagamento dell’azienda e quest’ultima si obbliga a
rimborsare la banca ad una scadenza determinata, anche diversa da quella dell’obbligazione commerciale; - la carta di credito, vale a dire un contratto tra l’azienda debitrice e un emittente, nell’ambito del quale
l’azienda delega l’emittente al pagamento dei suoi debiti e quest’ultima si surroga nel credito del fornitore,
concedendo un termine di pagamento più lungo al debitore.
Quello che accomuna questi strumenti, dal punto di vista del principio contabile, è l’esistenza di un autonomo
accordo tra azienda debitrice e intermediario, che si sovrappone all’obbligazione commerciale e, potenzialmente,
può determinare una discontinuità nell’obbligazione di pagamento, tale da giustificare una corrispondente
discontinuità contabile.
Quali sono i contenuti materiali degli accordi tra azienda debitrice e intermediario che possono essere ritenuti
indicativi di una discontinuità sostanziale? La materia è, per definizione, opinabile e soggetta alla valutazione
responsabile dell’azienda e del suo revisore. Le indicazioni che seguono sono, quindi, mere indicazioni di prassi, da
contestualizzare volta per volta. I contenuti critici dell’accordo tra azienda debitrice e intermediario potrebbero
essere:
- modifica dei termini di pagamento originari, per effetto della cessione dal fornitore all’intermediario
- modifica del rendimento atteso dal creditore, per effetto di pattuizioni che introducano o modifichino il
tasso di interesse implicito connesso alla dilazione di pagamento - costituzione o concessione di garanzie non previste dall’obbligazione originaria
- rinunce suscettibili di alterare la posizione dell’azienda debitrice nei confronti del nuovo creditore
- clausole di compensazione
- clausole di cross default e, in generale, covenant aggiuntivi rispetto all’obbligazione originale.
In teoria, comunque, un accordo che prevedesse solo forme di collaborazione operativa tra le parti, senza alcun
tipo di sanzione che si riverberi sulla posizione soggettiva dell’azienda debitrice potrebbe risultare neutro rispetto
alla valutazione di discontinuità delle obbligazioni di pagamento sottostanti.
Non è quindi impossibile ipotizzare strutture di accordo tra azienda debitrice e intermediario che non
interferiscano con la continuità delle obbligazioni di pagamento dell’impresa, anche se nel clima attuale la stessa
esistenza di tali accordi viene vista con sospetto.
3. Strumenti di Supply Chain Finance e obbligo di disclosure nel bilancio del debitore (IFRS7)
Com’è noto, il dibattito nella professione contabile e nelle strutture di regulation internazionale (IASB e FASB) sul
tema del trattamento delle operazioni di Supply Chain Finance si è, al momento, concluso con la constatazione
che non fossero necessarie ulteriori regole per interpretare correttamente questo fenomeno. Tuttavia, l’insistenza
di alcuni attori rilevanti ha fatto sì che i regolatori introducessero un obbligo di disclosure in bilancio su questo tipo
di accordi.
L’obbligo di disclosure è stato declinato in modo sottilmente diverso nel quadro dei due sistemi contabili
internazionali, gli US GAAP e gli IFRS. Le considerazioni che seguono si riferiscono essenzialmente alle previsioni
introdotte nell’IFRS7.
Nel testo del principio contabile, l’ambito oggettivo dell’obbligo di disclosure è quello degli accordi di Supplier
Financing, in cui il fornitore può ottenere un pagamento anticipato dall’intermediario finanziario o il cliente può
pagare l’intermediario finanziario in una data successiva alla scadenza contrattuale dell’obbligazione. Come si
vede, la definizione è di tipo fenomenologico e l’unico elemento strutturale che di fatto determina l’esistenza della
fattispecie da sottoporre a disclosure è l’esistenza dell’accordo stesso tra l’entità debitrice e l’intermediario. Il
principio stesso, peraltro, esce in qualche modo dalla genericità escludendo espressamente dall’obbligo di
disclosure due tipologie di accordi rilevanti nell’ambito della Supply Chain Finance:
- le carte di credito, assimilate a semplici strumenti di pagamento
- le lettere di credito, assimilate a puri strumenti di garanzia
Può essere opportuno chiarire che l’esistenza di un accordo che abbia le caratteristiche fenomenologiche sopra
ricordate implica solo l’obbligo di darne disclosure, mentre non pregiudica di per sé il trattamento contabile delle
passività incluse nell’accordo, trattamento che segue le regole fissate dall’IFRS9 (e la stessa cosa vale per le tipologie di accordi espressamente esclusi dall’obbligo di disclosure). Il contenuto materiale delle informazioni
disclosed deve permettere ai fruitori del bilancio di comprendere come l’azienda ha trattato queste passività e,
nel caso, metterli in condizione di apprezzare gli effetti di un diverso trattamento. Questa possibilità di
rielaborazione e di lettura à la carte del documento di bilancio è il fattore potenzialmente destabilizzante implicito
nell’obbligo di disclosure, in quanto l’azienda che redige il bilancio si troverà davanti degli interlocutori che
potrebbero avere opinioni diverse dalla sua rispetto al trattamento operato sulle specifiche obbligazioni,
conducendo ad un diverso apprezzamento di alcune informazioni chiave della comunicazione finanziaria
dell’azienda.
Non rientra negli obiettivi di questo articolo discutere degli impatti che le regole contabili possono avere nel
mondo reale. Può essere utile, invece, provare a riassumere in un’unica mappa il trattamento cui potrebbero
essere soggetti i diversi tipi di strumenti di Supply Chain Finance, dal punto di vista degli IFRS 9 e 7.
La mappa in questione è proposta nella figura seguente, che include anche – per contrasto – i contratti di
factoring stipulati tra fornitori e intermediari al di fuori di una cornice di accordo di Reverse Factoring, comunque
denominato.
tabella sono indicati i trattamenti attesi nell’ambito dei due principi contabili (IFRS9 = riclassificazione del debito
sì/no; IFRS7 = disclosure in bilancio sì/no), con alcune precisazioni, necessarie per contestualizzare i potenziali
trattamenti derivanti dall’applicazione dell’IFRS9.
È abbastanza evidente che, almeno con riguardo agli obblighi di disclosure, il regolatore abbia adottato soluzioni
che determinano effetti fortemente asimmetrici sull’appetibilità dei diversi strumenti di Supply Chain Finance (o
di Supplier Financing, per utilizzare la terminologia dello IASB). Di fatto, nonostante la puntigliosa attenzione ad
evitare di nominarle, è come se le uniche soluzioni bisognose di trasparenza informativa fossero quelle di Reverse
Factoring e Confirming, che sono certamente le più diffuse, ma non le uniche.
4. Considerazioni finali
Dal punto di vista degli stakeholders la cui azione ha determinato, negli ultimi anni, tanto l’irrigidimento
interpretativo nell’applicazione dell’IFRS9, quanto l’introduzione di una specifica disclosure obbligatoria all’interno
dell’IFRS7, la collaborazione dell’azienda debitrice con gli intermediari finanziari nel favorire il finanziamento della
Supply Chain è fortemente sospetta. Sospetta per ragioni di merito, che vanno dalla potenziale alterazione del
ciclo operativo dell’azienda, alla concentrazione del debito commerciale della stessa nelle mani di uno o pochi
intermediari, alla vulnerabilità che può conseguirne, anche sotto il profilo della capacità di rendere stabile nel
tempo un ciclo operativo fortemente basato sul supporto creditizio esterno.
Si tratta di preoccupazioni ragionevoli, eccessive nella maggior parte dei casi concreti, ma supportate
dall’evidenza di casi singoli in cui l’incepparsi del meccanismo, in genere per la riduzione o la cessazione del
supporto degli intermediari, va a determinare una crisi finanziaria irreversibile per l’impresa.
Il nucleo fondamentale della questione, ben al di là delle tematiche tecnico contabili, è la concentrazione forzata
del finanziamento di un insieme determinato di relazioni di fornitura, determinata dagli accordi tradizionali di
Reverse Factoring e Confirming. La creazione di scatole chiuse ed esclusive, il cui smontaggio è un fattore critico e che genera un rischio potenziale che deve, in qualche modo, essere oggetto di apprezzamento sia da parte
dell’azienda debitrice, sia da parte dei suoi stakeholders.
Visto in questa prospettiva, lo sforzo dell’industria finanziaria dovrebbe essere finalizzato a individuare soluzioni di
finanziamento della Supply Chain che riducano i rischi, anche quelli di concentrazione e di esclusività, superando
i limiti degli approcci tradizionali