È passato più di un quarto di secolo dalle prime discussioni che, in ambito europeo, portarono al varo della prima versione della direttiva sui ritardi pagamento e siamo alle soglie dell’ennesima versione della normativa, questa volta in forma di regolamento immediatamente applicabile. Non sono cambiati gli obiettivi, né gli strumenti: standardizzazione obbligatoria dei termini di pagamento, sanzioni per il ritardato pagamento, interessi moratori legali di tipo punitivo. Il classico repertorio normativistico, il cui primo risultato è la riduzione dello spazio di autonomia negoziale delle parti, nel presupposto di interpretarne l’interesse effettivo.
Tuttavia, il tempo trascorso e l’esperienza maturata sul campo dovrebbero suggerire un minimo di riflessione critica non solo sull’efficacia degli strumenti utilizzati, ma soprattutto sugli obiettivi perseguiti. Se da venticinque anni continuiamo ad inasprire la sanzione per i ritardi di pagamento e la situazione non migliora, non dovrebbe venirci il dubbio che forse il problema non sono i ritardi di pagamento?
Proviamo a ragionare.
- Considerazioni di contesto
L’intento dell’Unione Europea nel promuovere una normativa uniforme sui ritardi di pagamento nelle transazioni B2B e B2G era quello di favorire la puntualità dei pagamenti, eliminando così un fattore di tensione nella gestione finanziaria, soprattutto delle imprese più piccole. La strumentazione giuridica adottata per perseguire queste finalità include la regolamentazione dei termini di pagamento commerciali e la sanzione dei ritardi di pagamento, attraverso la previsione di un diritto delle imprese fornitrici a vedersi riconosciuti interessi di ritardato pagamento determinati in misura punitiva, oltre a indennizzi di tipo amministrativo.
Il presupposto logico della regolamentazione è che il ritardo di pagamento sia un comportamento prevalentemente dovuto all’asimmetria relazionale e dimensionale tra cliente “forte” e fornitore “debole” e sia sufficiente quindi predisporre uno strumento legale che imponga un equilibrio e legittimi la pretesa del soggetto debole all’indennizzo.
Nella realtà economica il problema è molto più complesso. Esso include anche la logica di determinazione dei termini di pagamento delle prestazioni e forniture e non può prescindere dalla consapevolezza che i ruoli di fornitore e cliente sono svolti all’interno di un reticolo di relazioni in cui ogni azienda è contemporaneamente l’uno e l’altro. Inoltre, una parte assai importante delle relazioni di fornitura altro non è che un singolo tratto all’interno di una catena più lunga. Concentrarsi sul singolo tratto, ignorando i comportamenti a monte e valle, riduce in modo significativo l’effettività di qualsiasi previsione normativa. Supporre che la “normalizzazione” di ogni singolo tratto si traduca automaticamente nella normalizzazione di tutta la catena e di tutto il reticolo di relazioni è semplicemente ingenuo.
Si parla tanto di filiere, ma si dimentica – o non si capisce – che uno dei tratti identificativi di una filiera è la componente di interesse economico comune, distribuito sui diversi anelli che la compongono, rispetto al risultato finale: la vendita al cliente finale, impresa o consumatore che sia. I passaggi intermedi di trasformazione, stoccaggio e distribuzione sono tutti necessari al risultato finale. I flussi di pagamento interni alla filiera sono una modalità di (co)gestione del finanziamento del circolante necessario per conseguire il risultato finale.
All’interno di questo contesto, il fornitore debole vessato dal cliente forte è un archetipo raro o addirittura inesistente. La realtà è fatta di fornitori che hanno un livello di coinvolgimento diverso rispetto al risultato finale e, quindi, modalità e intensità di partecipazione diverse. I fornitori di commodities e materie prime non hanno un interesse particolare a sostenere il singolo cliente che è, di norma, facilmente sostituibile. Un fornitore marginale, a sua volta facilmente sostituibile, non ha interesse a sostenere il cliente e può facilmente essere vittima del ritardo di pagamento, ma raramente questo ha una incidenza significativa sul suo equilibrio finanziario. Un fornitore inserito strutturalmente in una catena di fornitura è consapevole che l’obiettivo condiviso con il cliente è la vendita del prodotto finito ed ha interesse a contribuire al raggiungimento di questo risultato, anche attraverso termini di pagamento più lunghi e anche se questo significa assumere rischi superiori
L’errore fondamentale dell’approccio dell’Unione Europea è quello di pensare che tutte le relazioni di fornitura siano uguali e che l’asimmetria dimensionale dei contraenti sia l’unico fattore rilevante del loro comportamento finanziario.
Il vero problema è invece quello del finanziamento del circolante delle aziende. Problema che può essere accentuato dalla lunghezza dei termini di pagamento e dai ritardi di pagamento, ma che non deve essere confuso con questi fattori. Termini di pagamento e ritardi di pagamento sono alcuni degli strumenti di cui si avvalgono le imprese per gestire il finanziamento del circolante: puntare l’occhio solo su alcuni di questi strumenti, non aiuta a capire il problema, né a risolverlo.
- Gli effetti potenziali dell’imposizione di termini di pagamento standardizzati
Nel corso degli ultimi venticinque anni abbiamo assistito al tentativo di rendere progressivamente più rigida la normativa sui termini di pagamento e i ritardi di pagamento, con effetti peraltro modesti sui comportamenti degli attori economici, ivi comprese le pubbliche amministrazioni.
Il prossimo passo, così come viene proposto dalla Commissione Europea, è quello di fissare dei termini massimi di pagamento su base legale, ricorrendo ad uno strumento normativo che non necessita di recepimento all’interno dei singoli Paesi e inasprendo ulteriormente la componente sanzionatoria in caso di ritardo di pagamento. Quali saranno gli effetti?
Ammettendo che la soluzione sia efficace, il risultato effettivo sarà quello di mettere finanziariamente in crisi tutte quelle aziende che operano nella trasformazione e nello stoccaggio di beni, piuttosto che nella progettazione e realizzazione di impianti, costruzioni, opere, ecc. Costrette a pagare a breve i propri fornitori senza essere in grado di fatturare immediatamente i propri clienti e private del sostegno finanziario dei propri fornitori, dovranno attingere al credito di terzi, di cui sono già grandi fruitori, e la loro stabilità dipenderà fondamentalmente dalla disponibilità di credito bancaria o da improbabili sforzi di ricapitalizzazione. Questo, se la soluzione si rivelasse efficace.
L’esito più probabile, però, è che il sistema tenda a mantenere la stabilità del proprio ciclo finanziario, spostando a monte l’allungamento dei tempi. Vale a dire che i futuri contratti di fornitura e prestazione condizioneranno la fatturazione dei corrispettivi all’esperimento di onerosi (e lunghi) processi di approvazione da parte del cliente. Il risultato finale sarà un incremento delle difficoltà di finanziamento del capitale circolante di tutte le imprese fornitrici, che non potranno disporre di crediti commerciali documentati su cui costruire operazioni di finanziamento con gli strumenti disponibili sul mercato.
- Limiti degli strumenti di mercato per il finanziamento del circolante
Il finanziamento del circolante è uno dei fattori fondamentali per garantire una gestione sana e prudente dell’impresa. Le imprese muoiono quando non trovano più una collocazione sul mercato, ma muoiono anche (molto più spesso) quando non riescono a gestire il loro ciclo finanziario operativo, quando la forbice temporale tra pagamenti e incassi si apre troppo e l’azienda non trova le risorse finanziarie per coprire questa gap. La tensione finanziaria a breve è forse il principale fattore di crisi, anche irreversibile, delle imprese italiane, cosa che si riflette in tutti i modelli di scoring del rischio di credito, che tendono a sovrappesare gli indicatori che misurano questo fenomeno. Si tratta di un tema di gestione della liquidità a breve termine di cui dispone (o non dispone) l’impresa, certo, ma anche e soprattutto di gestione dei fattori che questa liquidità generano (pagamenti dei clienti) o assorbono (pagamenti ai fornitori e giacenze di magazzino), senza dimenticare che tempi di pagamento lunghi implicano un rischio di credito più elevato nei confronti del cliente e necessità di credito corrispondentemente più elevate in capo al fornitore.
Il mercato finanziario offre un vasto assortimento di strumenti idonei a supportare le aziende nella gestione del capitale circolante (anticipi bancari, factoring, reverse factoring, confirming, lettere di credito, …), ma tale abbondanza non significa che gli strumenti siano ugualmente disponibili per tutte le imprese. Tendenzialmente, ciascuno di questi strumenti presuppone una soglia dimensionale minima – a volte piuttosto elevata – nella relazione con l’operatore finanziario che lo eroga, oltre che uno standing creditizio adeguato dell’azienda beneficiaria del relativo credito, fornitore o cliente che sia. Questo significa che in molti casi l’effettiva disponibilità di tali strumenti risulta fortemente limitata o anche assente.
All’interno della cornice esistente, queste limitazioni possono essere in parte ovviate attraverso azioni positive, come l’eliminazione dei vincoli alla cedibilità dei crediti commerciali, piuttosto che il riconoscimento a livello regolamentare di fattori di mitigazione alle relative operazioni di finanziamento, così che le banche abbiano una maggiore convenienza ad incrementare i propri impieghi in questo settore.
Tuttavia, se si riconosce che il tema vero non è tanto ridurre artificialmente il fabbisogno di finanziamento del capitale circolante attraverso la limitazione dei tempi di pagamento – obiettivo astratto, che prescinde dalla realtà delle relazioni di fornitura e dal loro contesto – ma fare in modo che questo fabbisogno sia soddisfatto, migliorando gli strumenti esistenti e puntando a superarne i limiti strutturali, allora può essere utile anche un piccolo esercizio di pensiero laterale.
- Un modello alternativo: un mercato del debito commerciale
I modelli prevalenti di finanziamento del credito e del debito commerciale sono, per l’appunto, modelli di finanziamento, basati sulla valutazione dei rischi: di controparte (fornitore e/o cliente), di transazione (esistenza ed esigibilità dei crediti), di comportamento (ritardo atteso di pagamento), di struttura negoziale e segregazione rispetto a pretese di terzi, … La complessità di questo approccio rende difficile conseguire obiettivi sostanziali di ampliamento del mercato e riduzione delle barriere all’ingresso.
Superare i limiti degli strumenti esistenti significa allora, per esempio, provare a immaginare una soluzione analoga a quella del mercato dei capitali di rischio, un mercato del debito commerciale delle imprese che abbia caratteristiche tali da garantire:
- un basso livello di rischio per gli investitori, eliminando quanto meno tutti i fattori di incertezza impliciti nell’esigibilità del credito commerciale (contestazioni, compensazioni, vizi della prestazione, …). Tale condizione potrebbe essere conseguita se fosse l’azienda debitrice ad immettere il proprio debito sul mercato, dichiarandone l’esigibilità;
- un elevato livello di inclusività. A priori, qualsiasi azienda fornitrice dovrebbe poter accedere al mercato per vendere i propri crediti dichiarati esigibili dal debitore, indipendentemente dal proprio rating finanziario e dalle proprie dimensioni. Corollario di questo obiettivo è l’esigenza di
- una forte semplificazione nei processi di onboarding e KYC, evitando di moltiplicarli per tutti gli investitori e riferendoli, magari, alle sole aziende debitrici, effettive controparti di rischio e alimentatori del mercato.
In uno scenario come quello ipotizzato, la criticità rappresentata da lunghi termini di pagamento si riduce in modo significativo, soprattutto all’interno delle catene di fornitura il cui punto terminale è costituito da un’azienda dotata di adeguato standing creditizio, per ciò stesso in grado di garantire un mercato sufficientemente liquido al proprio debito commerciale. Una effettiva possibilità di negoziazione del credito commerciale a condizioni di mercato e senza pregiudizi relativi alla solidità finanziaria del fornitore può neutralizzare la variabile rappresentata da termini di pagamento più o meno lunghi per l’equilibrio finanziario dell’impresa e consentirle di condividere con il cliente il finanziamento del ciclo di produzione complessivo, senza assumere rischi eccessivi.
Inoltre, l’esistenza di un mercato attivo del debito commerciale delle imprese (un mercato in grado di prezzare correttamente il rischio) avrebbe l’effetto positivo di generare nelle imprese fornitrici una maggior consapevolezza del rischio di credito implicito nel rapporto di fornitura, migliorando la loro sensibilità ed aumentando, nel tempo, la loro sostenibilità economica.
- Una modesta proposta
Invece di intervenire limitando pesantemente l’autonomia negoziale delle parti, a prescindere da qualsiasi valutazione del loro interesse effettivo, un intervento più circoscritto potrebbe sortire risultati migliori.
Da un punto di vista operativo la proposta potrebbe quindi essere articolata come segue:
- previsione di termini di pagamento standard e di sanzioni per il ritardo di pagamento, come da impianto attuale;
- esonero da qualsiasi limitazione nella negoziazione di termini di pagamento con i fornitori e possibilità di convenire interessi di ritardato pagamento in misura diversa da quella legale per le aziende che garantiscono ai propri fornitori la possibilità di negoziare il proprio credito in mercati aperti ed inclusivi;
- incentivi finalizzati alla creazione di piattaforme di mercato di questo tipo e all’adesione delle imprese e di banche e operatori finanziari alle medesime. Gli incentivi alle imprese potrebbero riferirsi a trattamenti fiscali favorevoli per i costi sostenuti ai fini della realizzazione e dell’adesione, quelli verso gli intermediari finanziari potrebbero prendere la forma di un minore requisito patrimoniale per i relativi impieghi, oltre alle eventuali semplificazioni operative sotto il profilo dei requisiti di compliance.